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Al convegno promosso dal Consiglio regionale su “Costituzione, art. 116, comma 3 – forme e condizioni di autonomia per un nuovo regionalismo” gli interventi di Napoli, Lacorazza, Cecchetti, Ciambetti (Veneto), Draghetti (Emilia Romagna) e Santarsiero
10.5.2018_Convegno sul regionalismo differenziato, da sinistra Draghetti, Napoli, Lacorazza, Santarsiero, Ciambetti e Cecchetti
Intraprendere il percorso del “regionalismo differenziato” anche in Basilicata, raccogliendo la sfida offerta dall’articolo 116 (terzo comma) della Costituzione, che prevede la possibilità, per le Regioni con i conti in ordine, di negoziare con lo Stato maggiori spazi di autonomia in alcune materie. E’ intorno a questa opportunità che si è aperta la discussione nel convegno su “Costituzione, art. 116, comma 3 – forme e condizioni di autonomia per un nuovo regionalismo”, che si è svolto oggi a Potenza su iniziativa del Consiglio regionale della Basilicata.
Ad aprile i lavori è stato il vice presidente del Consiglio regionale Michele Napoli, che dopo aver ringraziato i presenti (tra gli altri il direttore generale della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative regionali Paolo Pietrangelo e i consiglieri regionali Francesco Mollica, Giannino Romaniello, Achille Spada Spada, Gianni Leggieri, Antonio Bochicchio, Giuseppe Soranno, Vincenzo Robortella, Aurelio Pace e Paolo Galante), ha iniziato il suo discorso chiedendosi “se forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni del Sud potranno invertire le attuali tendenze ad una sempre maggiore divaricazione degli indicatori macroeconomici di quest’area del Paese rispetto al Nord. Nessun dubbio che il rilancio del Sud e della Basilicata in particolare possa rinvenirsi in una riqualificazione dell’offerta pubblica, sostanzialmente della qualità dei servizi, in materie come l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la formazione, i trasporti, la tutela ambientale. Ma per rilanciare la qualità e la quantità di questi servizi fondamentali – si è chiesto – ancora Napoli – è necessario avere maggiori competenze o potrebbero bastare quelle che già sono in possesso delle Regioni a statuto ordinario e magari gestirle secondo dinamiche maggiormente improntate ai criteri dell’efficacia, dell’efficienza, dell’economicità e del senso di appartenenza ad una comunità?”.
“L’inefficienza della pubblica amministrazione al Sud è molto più marcata di quella che si riscontra al Nord – ha detto ancora Napoli -, il problema non è quindi quello di maggiori competenze, bensì di una maggiore capacità di gestione dei servizi pubblici, da cui possa derivare non solo il benessere dei cittadini con riguardo all’esercizio di fondamentali diritti di cittadinanza ma anche la capacità del sistema produttivo privato di fare impresa e di produrre beni e servizi innovativi, dotati di efficacia competitiva. Se oggi l’applicazione di policy fondamentali (sanità, ambiente, politiche attive del lavoro, ricerca, sviluppo economico, infrastrutture, mobilità) è diversissima nei contesti territoriali del Paese non è, o meglio, non è solo un problema di soldi, bensì di qualità della governance e di capacità della componente politica di una amministrazione di condividere con la società una visione in grado di indirizzare una comunità su un cammino fatto di crescita economica e di inclusione sociale”.
Per il presidente della prima Commissione Piero Lacorazza “al di là delle legittime differenze politiche, l’autonomia è la strada che può unire per responsabilizzare i territori e le classi dirigenti e costruire le condizioni per una stagione di cambiamento basata su efficienza e solidarietà. E’ una vera sfida di governo, come quando, a partire dal 1995, in Basilicata si iniziò a ripensare il ruolo della Regione e degli enti locali, aprendo un’importante stagione negoziale con lo Stato”.
“Il percorso avviato con la mozione approvata dal Consiglio regionale – ha aggiunto Lacorazza – e proseguito in prima Commissione con la definizione di tempi e modalità della nostra discussione, ha l’obiettivo di produrre una base documentale utile per coloro che verranno nella prossima legislatura. Si tratta soprattutto di scegliere le materie del contendere, che nella nostra situazione dovrebbero riguardare l’energia, l’ambiente e l’organizzazione istituzionale, verificando se ci sono spazi per un modello istituzionale e per una organizzazione dei servizi pubblici in grado di rispondere meglio alle esigenze dei territori e di affermare i diritti di cittadinanza. Con la consapevolezza che, fermi restando gli equilibri economici e di bilancio, non si possono applicare gli stessi parametri in una città e in un’area interna, in particolare su temi quali la salute, l’istruzione e la mobilità, anche in considerazione delle tendenze demografiche previste per i prossimi anni”.
Quanto poi alle tesi che legano l’autonomia delle Regioni all’utilizzo del cosiddetto “residuo fiscale”, cioè la differenza tra le entrate che le pubbliche amministrazioni prelevano da un determinato territorio e le risorse che in quel territorio vengono spese, Lacorazza ricorda che “l’articolo 119 della Costituzione stabilisce che vanno garantiti i diritti essenziali su tutto il territorio nazionale, e del resto il Titolo V della Carta non è altro che la specificazione dell’articolo 5: ‘La Repubblica una e indivisibile e valorizza le forme di autonomia e di decentramento’. Questo significa che il discorso sull’autonomia differenziata deve avere come riferimento l’equilibrata interpretazione delle diverse norme costituzionali”.
“L’autonomia differenziata – ha detto Marcello Cecchetti, necessita di meccanismi di raccordo, stabilendo con criterio di quanto è possibile aumentare le competenze regionali. Diritti civili e sociali hanno bisogno di linee essenziali di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. La parte ulteriore si può differenziare. La potestà legislativa va concordata con quella governativa attraverso i meccanismi procedurali. La considerazione di merito parte dal fatto che la norma sul federalismo differenziato finora è rimasta lettera morta che ha vissuto una parabola discendente colpita nella sua ratio più autentica insieme con il principio di autonomia. Nell’ultimo decennio ci si è sempre più convinti che l’autonomia, alla fine, era un lusso che non ci si poteva concedere. E’ stato grazie all’iniziativa di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che il Governo ha sentito l’esigenza di dover trattare. Così la prospettiva di autonomia differenziata è ripartita sui tavoli ministeriali negli ultimi quattro mesi”.
“Questo istituto – ha aggiunto Cecchetti – può avere dei contenuti concreti, di prospettiva vera, di rilancio del regionalismo, occorre partire non dal regime formale delle competenze legislative, ma da quello di cui si ha bisogno. La Regione che chiede autonomia deve sapere cosa vuol fare, quindi serve un’analisi delle funzioni che oggi ha una regione e come le riesce a svolgere per capire se c’è bisogno di nuove funzioni o di nuove modalità di esercizio delle funzioni esistenti. Il Regionalismo differenziato è un progetto politico di prospettiva, ha un tempo più lungo di una legislatura, è un mandato legislativo a carattere dinamico, va visto sul campo per ben capire le esigenze e le nuove funzioni che possono essere riconosciute. Sarebbe utile rifarsi al modello europeo di ripartizione delle competenze sulla base dei temi di trattativa con il Governo. Non si tratta tanto di imporre la potestà legislativa, ma di ragionare di modalità di partecipazione alla gestione delle varie problematiche e materie. Un modello di sussidiarietà per migliorare il sistema di performance che tiene conto del nulla osta preliminare del Governo in materia di sostenibilità”.
Il Presidente del Consiglio regionale Veneto, Roberto Ciambetti dopo aver sottolineato come il Veneto sia una Regione “sandwich” fra due realtà a Statuto speciale, il Trentino- Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia, ha ricordato il percorso che ha portato la sua Regione alla richiesta di forme e condizioni ulteriori di autonomia. “Percorso – ha spiegato – che risale al 1971, dato che nello Statuto della Regione, all’articolo 2, già si parla di autonomia e autogoverno del popolo veneto”. Ciambetti ha poi richiamato i precedenti tentativi (risalenti al 1992 e al 1998) di ricorso a referendum, censurati dalla Corte costituzionale, sino a giungere al 2014, anno in cui è stato approvato il disegno di legge con la richiesta di indizione del referendum, di cui la Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità”. Una iniziativa che a suo parere “ha consentito di riportare il regionalismo alla dignità che si merita, da qualche mese si torna a parlare delle Regioni in maniera corretta, aver portato gli elettori al voto ci ha portato finalmente ad aprire la trattativa che negli anni precedenti ci era stata sempre negata”. “A seguito dell’esito del referendum del 22 ottobre – ha proseguito Ciambetti -, il Consiglio regionale ha approvato un disegno di legge, che entra nello specifico delle 23 competenze previste dalla Costituzione come base di partenza per la trattativa del Governo. L’auspicio – ha concluso – è di giungere entro pochi mesi alla sottoscrizione dell’intesa tra Stato e Regione. Non si può non tener conto del voto espresso dai cittadini con il referendum”.
Il direttore generale dell’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna, Leonardo Draghetti, dopo aver illustrato le tappe che hanno portato, il 28 marzo scorso, alla firma dell’Accordo preliminare tra Governo e Regione Emilia-Romagna sull’autonomia rinforzata, ha illustrato il metodo prescelto, ossia “l’azione di programmazione partecipata con il coinvolgimento delle istituzioni del territorio e degli stakeholders (non il referendum)”. “Lavoro, istruzione, ambiente, salute e rapporti internazionali e con l’Unione europea – ha spiegato Draghetti – sono le materie di importanza strategica scelte dalla Regione Emilia-Romagna. La richiesta di differenziazione non mira a ottenere uno statuto di autonomia speciale ma intende creare un tertium genus tra regioni ordinarie e regioni speciali e si muove nella cornice dell’unità giuridica ed economica del Paese rimarcando la necessità che siano rispettati i valori solidaristici e di perequazione cui si ispira il nostro ordinamento costituzionale”.
“Rilanciamo il dibattito e la riflessione sul regionalismo – ha detto il presidente del Consiglio regionale Vito Santarsiero concludendo i lavori – nella prospettiva di favorire un ruolo più forte delle Regioni attraverso nuovi spazi di autonomia, quelli concessi dall’art.116 comma 3 della Costituzione, da ricercarsi in elementi di forte specificità ed identità regionale e in elementi di. maggiore dinamismo ed efficienza del sistema regionale. In tale contesto – ha aggiunto – resta l’esigenza di una Camera delle Regioni per consentire agli Enti locali la partecipazione ai processi legislativi dei disegni di legge di interesse, come merita di essere sottolineato che nel momento attuale il fondamento del regionalismo è strettamente correlato al processo di integrazione europea e alla capacità di raccordo dello Stato centrale”.
“Per la Regione Basilicata – ha aggiunto Santarsiero – la possibilità di nuovi spazi di autonomia è di grande importanza per la possibilità di poter rafforzare la propria azione in settori quali quelli della tutela ambientale, dell’istruzione e ricerca, della tutela e realizzazione dei beni culturali, delle grandi reti di trasporto. Complessivamente per le Regioni è una nuova sfida per un governo più vicino ai cittadini e per una democrazia migliore”.