speranzaroma

 

commenta | Sabato ci sarò. Parteciperò all’iniziativa promossa da Roberto Speranza. Ci sarò perché non mi convince, in questa fase, la linea politica e alcune scelte di governo di Matteo Renzi. Ci sarò perché non mi convincono le posizioni di Pippo Civati e Stefano Fassina che hanno lasciato il Pd, mentre Landini costruisce la colazione sociale e vuole rompere l’unita sindacale. Ci sarò per curiosità e per amicizia. Ci sarò, non guasta, anche perché Roberto Speranza è lucano.
C’è un cammino da fare, c’è uno spazio politico da rappresentare, c’è da ricostruire l’idea di una sinistra di governo che sia capace di superare schemi e impostazioni del passato e di stare dentro la modernità, di prevederla per indirizzarla secondo i valori della solidarietà, delle opportunità per tutti, della giustizia e della mobilità sociale.
Una sinistra di governo deve innanzitutto dialogare per dare cittadinanza ai diritti ma anche creare opportunità per persone e ceti produttivi senza i quali il Paese non cambia e non riparte.
Trovare politiche per chi soffre, per il lavoro ma insieme al mondo delle piccole imprese e delle partite IVA. Trovare un equilibrio tra diritti e una nuova politica industriale, tra welfare e competitività; tra crescita e ambiente, come lo stesso Papa Francesco con forza pone al mondo, dei credenti e non credenti. È così via.
E per farlo occorre abbandonare ideologismi e strumentalismi, cosa che purtroppo stiamo registrando in queste ore anche sul tema scuola. Renzi sbaglia a pensare che la buona scuola prescinda da un progetto educativo, concentrandosi prevalentemente su poteri, gerarchia, modello organizzativo e stabilizzazioni, peraltro imposte dalla Corte di Giustizia Europea e che non tengono conto dell’accumulazione di precariato che, tra vizi e virtù, è stata alimentata alimentata proprio dallo Stato.
Cosa significa progetto educativo? I bambini di 5/10 anni fa non sono quelli di oggi. Cosa quasi banale, ma fondamentale da considerare poiché, se si perde il valore universale della cultura e del progetto educativo unitario e nazionale, si corre il rischio di una forte differenziazione dell’offerta formativa e di intaccare così uno dei principali diritti di cittadinanza: l’istruzione. E del resto questa affermazione trova conferma nella proposta iniziale di riforma, parzialmente addolcita, nella quale si decentravano i poteri, accentrandoli ai presidi. Detto questo, anche chi si oppone alla buona scuola di Renzi utilizza alcuni argomenti che non mi convincono, parole d’ordine che usavo quando capeggiavo le manifestazioni studentesche: la buona scuola è la privatizzazione di un diritto, la scuola azienda, il governo vuole controllare dirigenti, docenti e studenti…
Dal punto di vista politico la scuola, come è già avvenuto per il jobs act, è oggi soprattutto il paradigma della contrapposizione interna al Pd: per Renzi significa spostare l’asse delle politiche di governo verso quello che avrebbe voluto chiamare “Partito della Nazione”, per la sinistra è l’ennesima linea di “resistenza al fronte”. E così appare in tutta evidenza anche il danno del porcellum e dell’italicum, che (entrambi, chi più chi meno) affidano alle correnti e ai loro capi la selezione della classe dirigenti, i posti in Parlamento.
In realtà lo spazio politico ‘non renziano’, nel Pd e nella società italiana, è molto più grande di quello imbrigliato nella strumentalità delle correnti. E credo che sia ancora possibile uno sforzo per evitare eccessive frammentazioni e divisioni che non aiutano a dare forza ad una posizione politica probabilmente maggioritaria, ma poco credibile perché molto frammentata. Maggioritaria nella società (basta leggere i sondaggi di tutti gli istituti demoscopici) ma anche, credo, nel Pd.
Del resto la guida di molte Regioni non è collocata sull’asse politico del Partito della Nazione. I presidenti di Calabria, Puglia e Lazio mi sembrano molto lontani da questa impostazione, De Luca non è proprio un renziano ortodosso, si dichiarano di sinistra i presidenti della Toscana e dell’Umbria Enrico Rossi e Catiuscia Marini. Potrei indugiare aggiungendo altri particolari sui Presidenti delle altre Regioni, Pittella compreso.
Potrei soffermarmi sulla disponibilità di tanti amministratori che non sopportano l’assenza di politiche per gli enti locali e il rigurgito centralista contenuto anche nella riforma del titolo V della Costituzione. È così via…
Ma preferisco rimanere al problema, che è il seguente: è necessario un progetto politico profondo, largo, unitario, innovativo e radicato sul territorio. Una sinistra “di governo” capace di pensare e fare politiche, con l’idea che non c’è una direzione di marcia senza significato da intraprendere comunque (dove si va e perché), non c’è un “cambiare verso” senza senso.