sanità

Ho già avuto modo di sottolineare i limiti della proposta di riordino del Sistema Sanitario Regionale presentata dal governo regionale che, è bene ricordarlo, non è stata tempestiva e che non era accompagnata da una spiegazione chiara degli effetti che tale proposta potrebbe produrre. Per questo motivo il 2 agosto ho proposto un ordine del giorno, approvato dal Consiglio Regionale, per fare in modo che si aiuti il territorio a capire quali potrebbero essere gli effetti della proposta di riordino.

Invocare i paletti legislativi nazionali con il solito ritornello ‘se il riordino non lo facciamo noi lo fanno da Roma’ è inoltre rischioso, poiché potrebbe passare l’idea che una classe dirigente intende abdicare alla propria funzione politica e di governo del territorio. E questa affermazione rende anche evidente lo strappo tra territorio e Stato centrale che presenta la stessa riforma costituzionale, con scelte che stabiliscono paletti netti e quasi automatici che hanno ricadute sul territorio. A proposito di riforma costituzionale mi porrei le #domandegiuste anche sulla sanità, ma questo è un tema di prospettiva, che andrà valutato nelle prossime settimane per assumere con ulteriore consapevolezza l’orientamento del voto per la riforma costituzionale.

Ma torniamo alla proposta di riordino, che almeno nelle dichiarazioni iniziali prevedeva un’unica azienda ospedaliera e una unica azienda territoriale. Dentro quel ragionamento con attenzione andava valutata la specificità del Crob relativa al riconoscimento di IRCCS. Si poteva essere concordi o meno, ma eravamo in presenza di una modello razionale che, se si fosse poggiato su un piano sanitario, avrebbe certamente determinato migliori passi in avanti.

Ma questa impostazione è venuta meno e ci troviamo con una proposta di riordino (e senza la proposta del piano sanitario regionale) ibrida se consideriamo i diversi assetti aziendali tra le province e i territori. Attraverso le audizioni in quarta Commissione stiamo ascoltando tutti coloro che vogliono dare un contributo e proviamo ad affrontare con responsabilità un passaggio di fase molto delicato, in cui il prezzo da pagare può essere molto alto per il diritto alla salute e la sostenibilità di scelte che, mi auguro, non spacchino la regione e non acuiscano i conflitti.

Siamo in un contesto normativo in cui dobbiamo, con i limiti ed errori già evidenziati, provare a garantire qualità, velocità, sostenibilità finanziaria, prossimità e appropriatezza delle prestazioni. Ne gufi ne struzzi, perché sulla salute nessuna speculazione politica è utile ma nello stesso tempo nessuna approssimazione. Al primo gennaio ormai siamo vicini, mancano due mesi e mezzo.

Attendiamo che venga completato il quadro degli effetti sugli ospedali e sul territorio determinabile dalla proposta di riordino, così come previsto dall’ordine del giorno approvato in Consiglio regionale il 2 agosto. Poi, concluse le audizioni in Commissione, il Consiglio regionale dovrà approvare la proposta di riordino. Approvata la proposta saremo al limite, molto al limite di scadenze che nella migliore delle ipotesi finiranno per ‘burocratizzare’ la sanità lucana. È un rischio da valutare, è un rischio da evitare.

E allora cosa propongo? Sperando di cogliere la disponibilità di coloro che politicamente sono scevri da ogni  retropensiero, e facendo leva sulle competenze qualificate presenti nel Dipartimento Politiche della Persona della Regione, nel mondo della sanità più in generale, e nelle rappresentanze sindacali e associative proviamo a fare ordine nel metodo e nel merito.

Nel metodo definiamo una data, a media scadenza, entro la quale vi sarà una riforma vera del Servizio sanitario regionale, una scelta razionale poggiata su un nuovo piano sanitario.

Nel merito avremmo anche il tempo di valutare con attenzione scelte ed eventuali evoluzioni che produrranno sempre più effetti sulla domanda di salute e sulla capacità di costruire risposte adeguate. Nel breve termine proverei a valutare l’ipotesi di riconsiderare l’assetto definito per la provincia di Matera, valutando gli impatti determinati dalle maggiori risorse previste per effetto di Matera 2019 e la verifica e l’approfondimento di un piano di rientro per l’ospedale di Policoro. Nella provincia di Potenza lascerai l’Azienda Ospedaliera San Carlo nella situazione attuale, compreso il presidio di Pescopagano, manterrei all’Asp, unificandoli, gli ospedali di Melfi, Lagonegro e Villa d’Agri.

È una strada intermedia che da una parte non evita comunque alcune scelte nell’immediato e dall’altra va accompagnata da un piano sanitario, da un riassetto complessivo delle politiche di welfare regionale e da un approdo certo da definire da qui a qualche anno.

Proviamo a capire se questa strada è possibile.

Proviamo a verificarla senza preconcetti e pregiudizi.

Proviamo a valutarne gli effetti.

Proviamo a ragionarci insieme.

 

 

Piero Lacorazza

Consigliere regionale del Pd