Girare per il territorio, incontrare le persone, fermarsi a parlare fino a tardi con i militanti più agguerriti, quelli che hanno sempre “qualcosa in più” da dire, da chiarire, da replicare. E’ una vecchia abitudine di chi ha imparato a fare politica nei partiti e nei movimenti che hanno occupato la scena durante la prima repubblica. Un’abitudine da alcuni considerata desueta, perché (si dice) siamo nell’era della “società liquida” in cui, oltre al leader ed ai telespettatori che ascoltano, c’è ben poco spazio da occupare per discutere. Tant’è. Io continuo a pensare che discutere serve e quindi non ho perso l’abitudine. Anzi, negli ultimi tempi mi capita molto spesso di partecipare ad incontri in tanti Comuni della Basilicata, di parlare con i amministratori locali, cittadini e in particolare con i militanti del Partito democratico.
L’ho fatto anche ieri, a Campomaggiore. E sapete quale impressione ho ricavato? Che c’è un grande bisogno di discutere e di confrontarsi sui temi della politica locale e nazionale. C’è innanzitutto una difficoltà generale della politica a comprendere i processi e i problemi, a decidere, ad essere “concludente”. E questo lo si capisce subito. I partiti politici (quei pochi rimasti, e fra questi naturalmente il Pd) appaiono sempre più come gruppi di interesse che non sanno fare sintesi, non sanno più neanche riunirsi, non sanno decidere. E a volte perdono la dimensione reale dei problemi che nei nostri Comuni si sentono e si vedono tutti i giorni: lavoro, mancanza di servizi, spopolamento, ambiente, salute e la necessità di una politica che individui progetti e soluzioni.
Per questo, credo, in molti guardano con disincanto e allo stesso tempo con un po’ di speranza alla “semplificazione” che Matteo Renzi sembra voler portare nella politica italiana, come spiega in modo efficace il costituzionalista Michele Ainis sul Corriere della Sera. Un segretario di partito che è anche presidente del Consiglio e assume ad interim alcuni incarichi ministeriali in un Paese dove i piccolo negozi scompaiono in favore dei grandi ipermercati, dove si accorpano case editrici, telegiornali, tribunali e (forse) Regioni. “Dopo di che – scrive Ainis – su questo paesaggio erculeo vigilerà un ciclope con un occhio solo sulla fronte: il partito premiato dall’Italicum, che per l’appunto conferisce un premio in seggi alla lista, non alla coalizione. Piccolo è bello, si diceva un tempo. Magari sbagliando, perché l’eccesso di chiese e campanili aveva disgregato la nostra identità comune. Anche l’eccesso di semplificazione, però, rischia di lasciarci prigionieri dentro un guscio vuoto. «Non si può unificare un Paese che conta 256 tipi di formaggi», recita un aforisma di De Gaulle. “E il formaggio, una volta, piaceva pure a noi italiani”.
Può darsi che il professor Ainis esageri, e del resto che il tentativo di Renzi di sbloccare l’Italia, di cambiare strada in maniera netta e decisa, di uscire dalla palude sia supportato da più di qualche ragione appare del tutto evidente anche ai suoi critici più spietati. Ma siamo in un passaggio molto delicato, e se non torna la politica, la capacità di interpretare le cose e di fornire risposte attraverso il coinvolgimento ed il confronto democratico, sarà difficile uscirne. Questa, almeno, è la mia opinione.
Io credo cioè che il cambiamento ci vuole, subito. Ma che sulla strada del cambiamento non si possono perdere la rappresentanza democratica, la ricchezza del confronto, ed una serie di opzioni che possono caratterizzare una sinistra moderna oggi in Italia e in Europa. Per questo, al di là delle beghe di corrente che in pochi oggi capiscono, mi pongo il problema di come declinare, a partire dalla nostra realtà, alcuni contenuti che possono aiutare, in Basilicata e in Italia, il cambiamento richiesto da Renzi. Mi riferisco in primo luogo al tema delle regole. A Roma è in dirittura d’arrivo una riforma costituzionale che configura nuovi poteri e riscrive il rapporto dello Stato con le Regioni e gli enti locali. A Potenza il percorso avviato per il nuovo Statuto si iscrive dentro questo percorso riformatore, e sarà quindi anche una grande scommessa. Come sarà la Regione di domani? Rischiamo anche noi di rimanere “prigionieri dentro un guscio vuoto” come dice Ainis? E poi la vicenda petrolio. Davvero pensate che possa considerarsi chiusa dopo lo sblocca Italia, l’articolo 38 e la modifica del titolo V della Costituzione? E ancora, in questo quadro, quali scelte qualificanti fa la Basilicata per spendere bene, su pochi obiettivi realizzabili, i fondi comunitari del periodo 2014/2020? Come ci prepariamo e operiamo per cogliere al meglio l’opportunità storica di Matera 2019? E come facciamo a far ripartire Potenza, città capoluogo di regione, armonizzando il suo ruolo con un più avanzato modello di governo del territorio da parte di tutti gli enti locali?
Sono alcune domande, le prime che mi vengono in mente quando in queste sere mi capita di incontrare i cittadini nei circoli del Pd e nelle piazze dei nostri Comuni. Questi incontri mi servono soprattutto per ascoltare, per raccogliere osservazioni, critiche, segnalazioni di temi e questioni da affrontare meglio nell’attività istituzionale. E mi lasciano con una duplice sensazione: che serve la politica per mettere insieme queste sollecitazioni e fare sintesi, e che c’è ancora uno spazio per esercitare qui ed ora, in maniera onesta e dignitosa, la funzione di un partito come il Pd. Che non può, non deve essere un semplice comitato elettorale, ma un luogo dove le persone inventano insieme ogni giorno le risposte possibili alla crisi.
C’è una sola interpretazione che si può dare a questo post, almeno per il momento: stimolare il PD ad aprire un confronto con la base, con i simpatizzanti, con gli elettori, con i cittadini