14012014 - POTENZA - CONSIGLIO REGIONALE X LEGISLATURA. Piero Lacorazza, presidente del consiglio regionale. TONY VECE.Esprimo alcune mie riflessioni all’indomani del Consiglio regionale che ha discusso della legge “Sbloccaitalia” e in particolare dell’articolo 38 sapendo, e lo voglio sottolineare in premessa in maniera molto forte, che la crisi economica e sociale, la scarsa credibilità della politica e delle istituzioni, la fragilità dei soggetti intermedi e della rappresentanza, tendono  a caricare di maggiore significato ed energia i luoghi del conflitto reale e potenziale sui fatti e gli accadimenti che riguardano l’Italia e quindi anche la nostra Regione.

La discussione e le decisioni assunte ieri dal Consiglio regionale sono di assoluto rilievo e contribuiscono, al di là delle diverse posizioni, a riaffermare il ruolo dell’istituzione regionale a tutela delle proprie prerogative e di quelle delle autonomie locali e dei territori.

Può piacere o no, ma il Consiglio regionale, recuperando i ritardi di questi mesi, ha deciso di impugnare l’articolo 38. Naturalmente, come richiedono le corrette relazioni istituzionali, che in Basilicata non abbiamo mai dimenticato, il presidente Pittella e il governo regionale saranno impegnati in questi giorni per ottenere le attese modifiche all’art. 38. Solo se le richieste della Basilicata saranno esaudite si fermerà la procedura di impugnazione, e non il contrario.

Aver svolto una riunione del Consiglio regionale con la notevole pressione della piazza – ma senza mai perdere il contatto anche diretto e rischioso con i manifestanti – ha rafforzato e valorizzato l’espressione più autentica dell’istituzione regionale. Ho scommesso  da sempre sull’ascolto, sul dialogo, sul rispetto e sulla responsabilità delle scelte e, dopo l’esperienza di ieri, credo ancora di più in queste forme di fare politica.

Credo sia utile e giusto che ogni aspetto di una discussione così delicata come quella sullo “Sbloccaitalia” sia reso esplicito, pubblico, alla luce del sole. Solo così la politica e le istituzioni recuperano il ritardo forte che hanno accumulato in questi anni e riescono a riavvicinarsi alla comunità regionale. Solo nella trasparenza e nella chiarezza del dibattito la politica torma pienamente ad esercitare la funzione di governo della cosa pubblica. Compito del Consiglio regionale è animare un confronto senza pregiudizi, ascoltare tutte le voci e poi decidere assumendosi le proprie responsabilità.

Il decreto “Sbloccaitalia” entrato in Parlamento era un provvedimento che presentava molti aspetti critici, e grazie all’impegno dei parlamentari lucani e del presidente della Regione Pittella, il testo approvato da Camera e Senato è stato indubbiamente migliorato, sia per l’articolo 36 sia per l’articolo 38, in particolare in riferimento del comma 1bis che prevede come opzione necessaria al rilascio del titolo unico la definizione di un piano, su questo punto dirò innanzi poiché questo articolo va rafforzato nel senso di una leale collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti locali. Il presidente Pittella ha raccolto nella sua relazione anche una mia proposta fatta durante i lavori dell’assemblea del Pd affinchè il piano passi attraverso l’intesa in Conferenza Unificata.

Affermo con convinzione questo concetto – cioè il miglioramento della legge che ha convertito il decreto 133 – anche perché lo strumento legislativo utilizzato è il meno adatto a risolvere questioni su materie delicate come queste, che richiedono la strada dell’intesa e della leale collaborazione. Infatti, il decreto deve essere convertito in 60 giorni e con il meccanismo della fiducia, unito ad una selezione della rappresentanza parlamentare con questa legge elettorale e condito dalla crisi dei partiti e da una personalizzazione mediatica, il Parlamento è più debole rispetto al Governo. Non è un problema di nomi, di sparare contro tizio o caio, è un problema di sistema, come ho più volte ribadito.

Le modifiche apportate in sede di conversione sono state le migliori possibili? Forse. Si poteva fare di più? Forse. Passi in avanti ci sono stati ma le criticità restano. Ragioniamoci su per dare un contributo per una Basilicata migliore.

Ci sono più risorse e c’è un maggiore spazio di intervento rispetto a quanto era previsto inizialmente. Ci sono più risorse che certo sono legate alle annualità e alla disponibilità di capienza del patto di stabilità. Certo ci sono da liberare le vecchie royalties e bisogna rendere gli ingranaggi più automatici rispetto a progetti di sviluppo poiché la strada tra programmazione e obiettivi, anche per i meccanismi della nuova contabilità, passa sia per la competenza che per la cassa. Sono punti che possono essere migliorati ma che non hanno a che fare con la costituzionalità o meno dello “Sbloccaitalia” ma con una  ‘intesa’ che può essere raggiunta solo se conserviamo quote di sovranità. E in effetti non dico nulla di più rispetto alla decisione del Consiglio assunta per resistere all’impugnativa del governo e chiamandolo in causa proprio sull’art. 36 dello “Sbloccaitalia”.

Ma tra le cose positive che ha sottolineato il Presidente Pittella, c’è la migliore utilizzazione del bonus benzina. Si dice: ‘soldi già nostri’. Si ma sino ad ora non è stato così, fermi tra le rigidità degli schieramenti che su questa vicenda, chi a favore e chi contro, hanno giocato. Questo è un risultato importante perché qui c’è la politica, quella più alta.

E poi c’è l’IRES. Neanche le più potenti Regioni del nord sono riuscite a realizzare questa operazione di federalismo fiscale. Sia chiaro, è un buon risultato in un momento in cui si rastrellano poteri e soldi alle Regioni e alle autonomie locali. Accadde così anche alla fine degli anni ’90 quando lo Stato – oggi diamo troppe cose per scontato – cedette la sua quota di royalties alla Regione Basilicata.

In entrambi i casi la Basilicata ha fatto una parte di riforma fiscale. “Le tasse è necessario farle pagare dove si produce!”, cosa detta mille volte e complicata in Italia a farsi ma in Basilicata alla fine degli anni ’90 e adesso con l’art. 36 è accaduto, in parte, questo. Si tratta di capire nei prossimi mesi, in ogni caso, come si guarda all’investimento per l’intero territorio regionale ma anche alla prossimità del rischio e dell’impatto, ragione per la quale aveva ed ha un senso la legge 40.

Veniamo all’art. 38. Nonostante gli sforzi fatti, sulle procedure autorizzative in materia energetica non sono state apportate modifiche tali da ripristinare il principio di leale collaborazione fra Stato , Regioni ed Enti locali. Perché l’articolo 38 prevede di fatto l’anticipazione di una riforma Costituzionale che sottrae definitivamente alle Regioni, agli Enti locali ed ai territori ogni potere in materia di autorizzazione delle attività petrolifere, unificando impropriamente – ripeto impropriamente – le attività di ricerca e di coltivazione nel titolo concessorio unico. È una scelta politica che non mi convince.

Ed è proprio questa scelta che richiede ‘garanzie’ di reali poteri e le cui fragilità e debolezze mi hanno portato, in più occasioni, a chiedere di impugnare davanti alla Corte Costituzionale l’articolo 38, coerentemente con i pronunciamenti assunti dal Consiglio regionale alcuni mesi fa sulla riforma del titolo V e recentemente sullo “Sbloccaitalia”, nonché con quanto ha detto la Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative.

Aggiungo che in diversi articoli (non solo il 38 ma anche il 35 e in parte il 37) lo “Sbloccaitalia” mostra una filosofia non troppo dissimile da quella che era alla base della legge obbiettivo (ricordo la famosa cartina di Berlusconi da Vespa), che era ispirata da un analogo approccio neocentralista, ma non si può dire che abbia prodotto molti risultati. È necessario semplificare e rendere più rapide e certe le procedure, le norme di settore, una legislazione più “snella” e “pulita” ma a mio parere va fatto in un contesto che preveda la definizione puntuale delle responsabilità: chi fa cosa e in quanto tempo, fabbisogni e costi standard dei diversi livelli istituzionali, certamente che pesino meno per le tasche dei cittadini e delle imprese. E non è detto che accentrando tutto si risparmiano tempi e costi. Non è sempre così. L’innovazione da realizzare sta proprio qui, nell’attualizzare il principio di leale collaborazione fra lo Stato e gli enti che sono più vicini ai cittadini. Tutti (Stato compreso) devono funzionare meglio.

La mia posizione l’ho espressa in diverse sedi, mi sono confrontato con i cittadini negli incontri pubblici ai quali sono stato invitato a partecipare. Questo confronto mi ha arricchito, ho imparato molte cose e ho potuto verificare come le preoccupazioni sul tema petrolio nella società lucana sono molto forti, perché non sono sempre chiari i termini della vicenda, perché non tutti hanno a disposizione tutte le informazioni, perché una serie di eventi hanno rafforzato le preoccupazioni per la salute e per l’ambiente, perché in termini di lavoro e di sviluppo le attività petrolifere non hanno prodotto risultati apprezzabili. E’ un rapporto molto fragile quello che si è venuto a determinare negli ultimi anni fra la politica, le istituzioni e la società lucana, e forse la stessa occasione del memorandum nel 2011 non fu utilizzata a pieno per tentare di sanare la frattura fra istituzioni e cittadini che era già allora molto evidente. Da un lato si parlava di aumentare le estrazioni per le concessioni già in atto, dall’altro venivano alla luce il caso Arpab e il caso Fenice, che hanno inciso non poco nell’offrire un quadro di incertezza, nel quale la stessa legge di moratoria approvata sul finire della precedente legislatura e poi dichiarata incostituzionale, è apparsa come una risposta debole.

Voglio essere chiaro: non serve una discussione astratta pro o contro il petrolio, perché il petrolio c’è, serve al Paese, si estrae da più di vent’anni ed ha un impatto forte sul territorio, in termini di ambiente e salute in primo luogo, oltre che per l’economia della regione. E una discussione astratta pro o contro il petrolio serve solo a buttarla sul piano ideologico, non certo a contrastare il disegno di chi intende svolgere questa attività senza alcun limite.

Mi sento di affermare questa posizione perché ho sempre creduto e operato affinché efficienza energetica, micro produzione diffusa da energie rinnovabili e riduzioni di emissioni diventassero scelte concrete. I fatti e le scelte contano. Non a caso la presenza di Rifkin in Basilicata, lo ricordo, ha sottolineato i riconoscimenti nazionali per l’investimento più poderoso di efficientamento energetico e riduzione di emissioni di CO2 che è stato fatto sulle scuole della provincia di Potenza.

Occorre invece definire i limiti alla produzione e al consumo del suolo. Oggi, senza catastrofismi e senza autodifese, sui temi ambiente, salute e lavoro va fatto il “tagliando”. Questo è il cuore della questione. E noi per primi dobbiamo fare la nostra parte: rafforzare il sistema di monitoraggio e controllo alle attività estrattiva, rafforzare piani di sicurezza e di protezione civile, realizzare un polo nel campo della medicina ambientale, aggiornare il registro tumori, attuare la legge 23/99, approvare in tempi ragionevoli il piano paesistico regionale, rafforzare il dipartimento e gli uffici regionali che sempre più devono e dovranno garantire risposte immediata ed efficaci in coerenza di atti di pianificazione e programmazione che sono in capo alla politica. Tutto questo deve realizzarsi se, come ha annunciato, il presidente Pittella ci saranno tempi stretti per rilascio delle autorizzazioni.

Abbiamo bisogno di costruire un equilibrio nella leale collaborazione tra le giuste rivendicazioni di sviluppo, oggi, e i diritti delle generazioni di domani, a cui abbiamo il dovere di pensare. Questo equilibrio si chiama sostenibilità e si traduce sia in termini sociali (più lavoro e sviluppo) sia in termini ambientali (meno rischi). Ma c’è un’altra sostenibilità di cui non si parla: alle generazioni future noi dobbiamo lasciare un pezzo di potere e di responsabilità. La democrazia è anche avere la responsabilità di lasciare quote di potere alle generazioni che verranno.

Anche per questo non convince la riforma del Titolo V che elimina tutte le materie concorrenti come in particolare il ‘governo del territorio’ e quindi non trasferisce in maniera equilibrata, a chi verrà dopo di noi, un pezzo di potere e di responsabilità. Il presente corre il rischio di mangiarsi un altro po’ di futuro. Quando parliamo di energia, di combustibili fossili e non solo, di un certo potere ‘verticale’, ancora di più si evidenziano e si accentuano questi problemi.

Capisco che il nostro Paese va cambiato e non è possibile avere venti politiche energetiche, una per ogni Regione, ma il Governo del territorio deve riguardare l’ente legislativo più prossimo al cittadino. La manifestazione di ieri ci dice che noi possiamo ancora fare qualcosa. Si può essere d’accordo o no, ma il fatto che settori sociali importanti si rivolgano a noi, alla Regione, un punto democratico raggiungibile e identificabile, è un fatto di grande valore democratico.

Lo “Sbloccaitalia” e la riforma del Titolo V vengono indicate come scelte per semplificare e velocizzare le procedure amministrative in un’Italia troppo piena di burocrazia. Ma attenzione: non è superando il bicameralismo paritario che si sbloccano le risorse bloccate dal patto di stabilità. Le riforme (se fatte bene) sono una condizione necessaria ma non sufficiente. Certo non possiamo non cogliere i limiti e le responsabilità della cosiddetta crisi del regionalismo, di una riforma come quella del 2001, nella quale all’autonomia non si accompagnavano responsabilità, costi e fabbisogni standard e l’applicazione di una sussidiarietà nell’interesse del Paese. L’entrata dell’Italia nell’Euro avrebbe richiesto questo percorso. Ma una cosa è rispondere a questa esigenza, altra invece è annullare ogni potere e funzione locale tagliando trasferimenti, facendo imporre ai Comuni nuove tasse e non scegliendo di selezionare settori ed ambiti nei quali alleggerire il patto di stabilità, prima di procedere a nuove spese e nuovi investimenti. E, inoltre, scaricando sulle Regioni, sugli Enti locali tutta la responsabilità della crisi e dei problemi dell’Italia.

La crisi non è stata causata da ciò, da quella che potremmo chiamare democrazia decentrata, ma da pochi e oscuri centri della finanza mondiale. In una globalizzazione in cui incerti sono i luoghi dove si decide davvero, lasciare un po’ di poteri ai territori è una garanzia per la democrazia e la democrazia non è un freno allo sviluppo. Lo è una democrazia che non decide e allora la riformi con equilibrio e mediazioni, senza strappi e messaggi demagogici.

La cessione di sovranità allo Stato, anticipata dall’art. 38 e motivata dalla necessità di semplificare e sburocratizzare i procedimenti e prevista dalla riforma del Titolo V già approvata dal Senato, indebolisce i territori: anche per questo c’è un sentimento diffuso di incertezza nella politica e nella società.

Ma non è togliendo le Regioni, eliminando il voto diretto per l’elezione dei rappresentati delle Province o prosciugando i trasferimenti ai Comuni che si risolve il problema. Il tema è invece quello di rivedere, alla luce degli orientamenti comunitari ed allo scopo di recuperare la credibilità e l’efficienza del sistema pubblico italiano, di tutto il sistema pubblico, l’organizzazione dello Stato democratico sul territorio, ma partendo dal principio in base al quale tutti i cittadini italiani devono avere uguali diritti e, allo stesso tempo, definire fabbisogni e costi standard. Diritto alla salute, solo per fare un esempio, significa che tutti devono poter accedere ai medesimi standard di qualità dei servizi di  prevenzione e cura, significa ridurre le liste di attesa e ridurre il differenziale del costo di una siringa, anche perchè in alcuni casi questo dato è davvero imbarazzante.

Non è con meno democrazia che si risolvono i problemi dell’Italia, ed anche i territori vasti e con pochi abitanti come la Basilicata hanno le loro ragioni da tutelare. A questi territori non si può soltanto continuare a proporre la legge dei numeri e delle percentuali. Riformare non può significare sempre e soltanto ridurre. La razionalizzazione può essere anche l’esito di un processo di riforma, se si accetta di cambiare realmente le cose dando funzionalità, efficienza e riducendo anche i costi del sistema pubblico. É una sfida che riguarda il Paese ma è soprattutto  una grande scommessa che dobbiamo provare a giocare a Sud, qui nel Mezzogiorno.

Io continuo a pensare che noi meridionali dobbiamo fare uno sforzo innanzitutto per “pensarci” come soggetti di una comunità più vasta, per capire cioè che i diversi Sud devono stare insieme per ricostruire una prospettiva di sviluppo. E la Basilicata può essere il cuore di questo processo più volte evocato negli anni scorsi, e anche di recente, con la significativa riflessione sviluppata dell’Istituto Nazionale di Urbanistica della Basilicata. Ma questo non significa dover chiudere le Regioni. Deve crescere la consapevolezza degli amministratori regionali di dover agire come agenti di sviluppo, di dover costruire pazientemente relazioni tra le Regioni e con i rispettivi attori del sistema socioeconomico per ridare voce alla politica rispetto alle grandi questioni che il Paese e il Mezzogiorno hanno davanti in termini di specializzazioni produttive, invecchiamento del tessuto imprenditoriale, difficoltà a giocare un ruolo sulla frontiera dell’innovazione produttiva e sociale, capacità dei territori di “fare sistema” per uscire dalla crisi rilanciando lavoro e produzioni.

Per questo nel dibattito aperto nel nostro Paese, come in quello che nella nostra regione si fa avanti a partire dalla ridefinizione dello Statuto, eviterei di perderci in un vecchia e stantia dialettica tra centralismi impotenti e localismi insensati, semplificazioni amministrative e concentrazioni di potere che alla fine rafforzano feudalizzazioni e non partecipazione diffusa e responsabile, che è il lievito indispensabile per cambiare davvero. La vecchia geografia amministrativa ha fallito. Ha fallito prima il centralismo, poi il regionalismo sbilenco, infine la retorica assurda del federalismo, che il Sud ha subito da un Nord che aveva tutto da guadagnare (e infatti ha guadagnato, spostando di nuovo a suo beneficio quote significative di spesa pubblica ordinaria). Oggi la riforma delle autonomie ci offre la possibilità di estendere la logica interistituzionale di cui parlavo anche sul piano infraregionale. La parola chiave, per usare un’espressione di moda, è multilevel governance, ovvero non più federalismo leonino del Nord contro il Sud ma sintesi efficace di azioni tra diversi livelli di governo, con le Regioni a fare da area di decentramento ottimale e le nuove autonomie che nasceranno a rinforzare la propria capacità di attuazione e servizio sfruttando le logiche di integrazione. Un nuovo ruolo anche per le Regioni che richiede, però, che esse abbiano per i rispettivi nuovi ambiti intercomunali un disegno, una strategia, che condividano e che non può fermarsi agli incerti confini del passato. Anche chiedendo allo Stato di fare la sua parte, in termini di supporto, trasferimento di conoscenze e modelli, di operatività.

E’ una partita tutta da giocare, che ci costringe ad alzare lo sguardo e a rilanciare fortemente il nostro ruolo, il ruolo di questa istituzione regionale, in una logica di cooperazione. Una partita che possiamo giocare avendo come guida l’interesse dei nostri cittadini, i doveri di servizio e di costruzione di un senso politico per le comunità. La sintesi possibile è nella definizione di standard sostenibili per le famiglie e le imprese del Mezzogiorno e della Basilicata, alle quali va offerta l’opportunità di un pacchetto di riforme che diminuiscano i costi e i tempi della burocrazia, migliorando invece la semplificazione delle procedure. E soprattutto innalzando la qualità dei servizi nei settori fondamentali e rispetto ai bisogni fondamentali degli attori sociali.

Insomma, le Regioni non possono essere trasformate in enti di gestione amministrativa, devono mantenere un ruolo legislativo, di programmazione e di tutela del territorio, e quindi di iniziativa concorrente con lo Stato, almeno in materie fondamentali quali ambiente, urbanistica ed uso del suolo.

In un contesto come quello lucano, con pochi abitanti che vivono in un territorio esteso, aspro e difficile, la Regione è un irrinunciabile spazio democratico, innanzitutto a tutela dei territori interni e dei piccoli Comuni, che rappresentano un presidio essenziale per il territorio e che altrimenti rischiano di essere emarginati; la Regione è anche l’elemento della perequazione, di una programmazione temperata del territorio, della difesa e della valorizzazione di storia e tradizioni che possono essere modello di sostenibilità;

Il percorso per la definizione del nuovo Statuto della Basilicata deve andare avanti in maniera decisa e spedita, declinando in maniera compiuta anche i principi di cooperazione con le altre Regioni dell’ipotizzato Gruppo europeo di cooperazione territoriale del Sud.

Insomma, io credo che per le Regioni, per gli enti locali, per i territori, ci sia ancora uno spazio. La battaglia sull’art. 38 è anche questo, e la politica e le istituzioni devono dimostrare di saper ascoltare, come abbiamo fatto anche con la risoluzione approvata ieri in Consiglio regionale, assumendo le preoccupazioni presenti in vasti settori dell’opinione pubblica per costruire una risposta di governo adeguata innanzitutto alle esigenze di tutela della salute e dell’ambiente.

C’è una comunità che si rivolge a noi, c’è una domanda di cambiamento che si rivolge alla Regione, ad una Regione che come altre è stata coinvolta dalle vicende di rimborsopoli ma che a differenza di altre può e deve determinare una nuova fase. In questa vicenda c’è stato il più alto livello di crisi tra noi – la politica, le istituzioni – e la società lucana. Dico noi perché ne abbiamo la responsabilità tutti, almeno così pensa una parte non piccola della comunità. Oggi si rivolgono a noi le persone, le associazioni, i sindaci, le imprese, gli amministratori locali. Da qui si può ripartire per riannodare i fili sottili e spezzati tra politica e società, tra istituzioni e cittadini.

C’è davvero una possibilità per modificare l’articolo 38? Per riaprire la questione del leale rapporto di collaborazione fra Stato e Regioni? Il presidente Pittella e parlamentari stanno lavorando per dare una risposta affermativa a questa domanda, e credo sia giusto avvalorare questo tentativo.

Occorre rafforzare il senso dell’intesa, chiarendo non solo il tema della ‘leale collaborazione’ ma anche dei paletti che solo il Consiglio regionale deve mettere e potrà rimuovere per rilasciare una eventuale intesa: limite di produzione, limite di consumo del suolo, partecipazione attiva degli enti locali.

È chiaro che con il titolo unico c’è una maggiore sofferenza dei Comuni ed è su questo che dobbiamo lavorare per garantire anche loro.

Il passaggio è molto stretto, ma è ancora possibile ottenere questo risultato. Proviamoci e la decisione assunta dal Consiglio regionale, qualora entro la fine del mese di dicembre questo lavoro non porterà i suoi frutti, è quella dell’impugnativa, che a quel punto sarebbe un atto della normale dialettica istituzionale fra Stato e Regioni. Del resto solo qualche giorno fa abbiamo impugnato l’articolo 36 del decreto “Sbloccaitalia” e deciso di resistere nel giudizio che è stato sollevato dal Governo davanti alla Consulta nei confronti della nostra norma che escludeva tutte le royalties dai vincoli del patto di stabilità interno. >>>VAI ALO SPECIALE PETROLIO<<<