si corte a referendum

I quesiti referendari promossi dalle 9 regioni erano sei.

Referendum petrolio, Lacorazza: “Risultato rilevante” | SPECIALE 

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Il QUOTIDIANO DELLA BASILICATA / 1

Tre quesiti sono stati soddisfatti con le modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2016: il Parlamento ha accettato di modificare le norme sulla strategicità, indifferibilità ed urgenza delle attività petrolifere. Questo costituisce un innegabile successo, in quanto la dichiarazione di strategicità delle opere avrebbe comportato il dimezzamento dei termini processuali nei ricorsi e una disciplina poco garantista per gli enti territoriali circa la loro partecipazione ai lavori della conferenza di servizi. Cancellata è anche l’assurda previsione del “vincolo preordinato all’esproprio” già a partire dalla fase della ricerca degli idrocarburi: con ciò il diritto di proprietà del privato è salvo. Il Parlamento ha inoltre accettato di cancellare quelle norme che consentivano al Governo di sostituirsi alle Regioni in caso di mancato accordo sui progetti petroliferi e sulle infrastrutture necessarie alla realizzazione di tali progetti: oggi non è più possibile arrivare ad una decisione sui progetti petroliferi se non aprendo una trattativa con le Regioni. Un quesito è stato riammesso dalla Cassazione e su questo si è pronunciata la Corte costituzionale: si tratta del quesito sul divieto delle attività petrolifere in mare entro le 12 miglia. Il Parlamento ha accettato di modificare la norma del codice dell’ambiente, che consentiva la conclusione dei procedimenti in corso, prevedendo, però, che i permessi e le concessioni già rilasciati non avessero più scadenza e senza chiarire che i procedimenti in corso dovessero ritenersi definitivamente chiusi e non solo sospesi. La Cassazione ha ammesso che la modifica del Parlamento non soddisfacesse la richiesta referendaria, e cioè che essa non corrispondesse alle reali intenzioni dei promotori del referendum. La Corte costituzionale ha, quindi, dichiarato la legittimità della proposta stessa. In caso di esito positivo del referendum, i permessi e le concessioni già rilasciati e relativi alle attività petrolifere ricadenti entro le 12 miglia avranno scadenza certa e cioè resteranno vigenti fino alla data prevista al momento del conferimento del titolo. A seguito del referendum, occorrerà, inoltre, rispettare la volontà dei cittadini, in quanto dall’abrogazione referendaria deriverà un vincolo per il legislatore, che non potrà rimuovere il divieto di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia e l’obbligo per la pubblica amministrazione (il ministero dello sviluppo economico) di chiudere definitivamente i procedimenti attualmente in corso, finalizzati al rilascio dei permessi e delle concessioni. Due quesiti restano ancora insoddisfatti e rispetto ad essi c’è ancora spazio per ricorrere alla Corte costituzionale: si tratta del quesito relativo alla durata dei permessi e delle concessioni e del quesito sul “piano delle aree”. In relazione alla durata dei titoli: la Cassazione ha dichiarato che non si debba più procedere a referendum. Ma questa decisione nasce da una errata interpretazione delle norme. La Cassazione, infatti, non spiega perché mai la proroga della durata dei permessi e delle concessioni costituisca un problema per la ricerca e le estrazioni in mare (e che quindi si debba andare a referendum), mentre non costituisce un problema per la ricerca e le estrazioni in terraferma (e che quindi non si debba andare a referendum). La decisione è contraddittoria e non pone rimedio all’elusione della proposta referendaria. Per quanto riguarda il piano delle aree, la decisione della Cassazione non poteva, forse, essere diversa: i promotori del referendum davano per scontato che il “piano delle aree” fosse da mantenere poiché dal 1927 ad oggi il rilascio dei permessi e delle concessioni è sempre avvenuto senza una previa pianificazione. In Italia si può cercare ed estrarre praticamente ovunque, senza che si tenga conto del fatto che esistano aree interessate da agricoltura di pregio, aree di interesse naturalistico, aree fortemente antropizzate, e così via. Il piano avrebbe dovuto stabilire dove fosse possibile (e dove no) cercare ed estrarre. Lo Sblocca Italia prevedeva, tuttavia, che il piano dovesse essere elaborato dal ministero dello sviluppo economico, sentito il Ministero dell’ambiente e previa intesa con gli enti locali e le regioni; esso, inoltre, precisava che, in attesa dell’elaborazione del piano, fosse possibile rilasciare intanto permessi e concessioni. La proposta referendaria mirava  a rafforzare la partecipazione degli enti locali e delle regioni alla elaborazione del piano e a vietare il rilascio di nuovi permessi e di nuove concessioni fino a quando non fosse stato adottato il piano. La legge di stabilità 2016 ha, però, soppresso la norma che prevedeva il piano e, in questo modo, è caduto anche il quesito referendario proposto: oggi non c’è più l’oggetto sul quale far votare i cittadini. Per far sì che il “disegno” complessivo della proposta referendaria non resti vanificato è necessario promuovere un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale nei confronti del Parlamento, che in relazione alle proroghe dei titoli e al piano delle aree, non ha corrisposto alle richieste dei promotori, e della Cassazione, che non ha provveduto a risolvere il problema su tali questioni. Se la Corte costituzionale ammetterà il conflitto e stabilirà che vi sia stata elusione dei quesiti numeri 2 (piano delle aree) e 3 (proroghe dei titoli), la sua decisione sarà in condizione di annullare le modifiche del Parlamento su questi due punti. Ciò comporterà che rivivranno le norme sulle quali era stato proposto il referendum e che il referendum potrà infine celebrarsi su tre quesiti: le attività petrolifere in mare, la durata dei permessi di ricerca e delle concessioni per l’estrazione, il piano delle aree.